Rotta Balcanica: respingimenti, abusi e violenze in Europa

Oiza Q. Obasuyi
8 min readJan 25, 2021

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Ph.: Ben Owen-Browne via SOS Balkan Route

PREMESSA

Il peggioramento delle condizioni delle persone sotto la neve in Bosnia ed Erzegovina — che hanno suscitato scalpore e stupore sui giornali — non è un fenomeno recente. Ogni inverno si verificano le medesime dinamiche e, in ogni stagione dell’anno, ai confini dei Paesi dell’Unione Europea (UE) quali, ad esempio, Slovenia e Croazia, si consumano violenze e abusi di ogni tipo, tra cui numerosi respingimenti illegali. Bisogna tener presente che la questione inerente alle violazioni dei diritti umani sulla Rotta Balcanica ha inizio nel 2015 quando la così chiamata “crisi migratoria” raggiunse il suo punto più alto. Si trattava, come riportato dal dossier La rotta balcanica. I migranti senza diritti nel cuore dell’Europa, di più di 1 milione di persone provenienti soprattutto dall’Afghanistan, dalla Siria e dall’Iraq. Nello stesso anno, per volere dell’allora presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, si sono riuniti a Bruxelles rappresentanti dell’UNHCR, di Frontex e dei presidenti di Albania, Austria, Bulgaria, Croazia, Macedonia, Germania, Grecia, Ungheria, Romania, Serbia e Slovenia, per “discutere la gestione della rotta migratoria dei Balcani occidentali, il rafforzamento dei controlli alle frontiere, la creazione di un sistema hotspot coordinato tra i diversi Paesi” (La rotta balcanica. Migranti senza diritti nel cuore dell’Europa).

La rotta inizia in Grecia, Paese tramite cui l’UE ha siglato un accordo con la Turchia (EU-Turkey Statement, 2016). La Turchia è diventata uno dei Paesi terzi per contenere i flussi migratori dal Medio Oriente verso l’Europa. Nel 2016, la Turchia, non riuscendo più a bloccare i flussi dal Medio Oriente, ha più volte utilizzato i migranti come capro espiatorio per minacciare l’UE, affermando di “aprire le porte”, permettendo quindi a una grande quantità di flussi migratori di raggiungere l’Europa. Da questo atteggiamento è possibile notare come questi accordi bilaterali (un altro esempio è il Memorandum con la Libia) nulla hanno a che fare con la protezione dei diritti umani delle persone coinvolte. Si tratta di contenimento, respingimenti e controllo, un atteggiamento che, oltre ad essere dettato dall’agenda politica degli stati, porta inevitabilmente alla violazione di tali diritti. La Grecia è divenuta quindi uno dei Paesi europei con il maggior numero di flussi migratori: l’approccio utilizzato è quello degli hotspot, che consiste nella creazione di centri di accoglienza improntati sull’emergenzialità. Tuttavia, come si è potuto evincere dalla condizione di questi centri, come il caso di Moria, sull’isola di Lesbo, uomini, donne e bambini migranti vivono in campi profughi sovraffollati, in condizioni insostenibili e senza le risorse necessarie per poter vivere. Secondo il rapporto Solutions to Greece’s refugee education crisis (2020) di Theirworld (organizzazione per i diritti dei bambini), si tratta di più di 118mila persone, il 60% di cui ha meno di trent’anni; ci sono più di 5000 minori non accompagnati.

Lesbo, Grecia, 9 settembre 2020, ph. Petros Giannakouris — AP, via Time.

Tale sovraffollamento è dovuto anche alla lentezza burocratica inerente alle procedure per la richiesta di asilo. Come viene spiegato nel rapporto La rotta balcanica:

ai richiedenti asilo giunti via mare in Grecia è stato permesso il trasferimento nell’area continentale solo dopo l’esame della propria richiesta di protezione internazionale. Questo iter, la cosiddetta “restrizione geografica”, ha causato un enorme ritardo nel fornire l’esito delle domande d’asilo, bloccando migliaia di persone in campi profughi molto più simili a prigioni, per mesi o anche anni.

Questa è una delle cause per cui un gran numero di migranti tenta di spostarsi dalla Grecia verso i Balcani: Idomeni (Grecia), che si trova al confine con la Macedonia del Nord, è infatti divenuta una delle zone di transito principali da cui rifugiati e richiedenti asilo partono per tentare di entrare in UE attraverso altre vie.

Una lunga storia di violenze e respingimenti: Ungheria, Croazia, Slovenia, Italia

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  • Contesto legislativo da tenere in considerazione:
  1. Articolo 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”||Articolo 19 (1;2) della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: “Le espulsioni collettive sono vietate”; “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti” || Articolo 18 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea: “Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea […].
  2. Articolo 4 Protocollo 4 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo: “Le espulsioni collettive di stranieri sono vietate”.

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Nel 2015 il presidente ungherese Viktor Orban ha autorizzato la costruzione di una recinzione per impedire ai richiedenti asilo e rifugiati, soprattutto siriani, che dalla Grecia avevano attraversato la Macedonia e la Bulgaria fino ad arrivare in Serbia (al confine con l’Ungheria), di entrare nel paese. L’Ungheria si è resa artefice di gravi violazioni dei diritti umani: detenzioni arbitrarie di adulti e minori; nessun accesso alle procedure per la richiesta di asilo; abusi della polizia di frontiera. Nel 2018, l’Ungheria ha emanato una legge (Stop Soros Act) per impedire alle ONG di prestare soccorso ai richiedenti asilo sulla frontiera. Nonostante la condanna da parte della Commissione Europea e della Corte di Giustizia Europea — che rispettivamente hanno condannato sia il mancato adempimento degli obblighi sanciti dal diritto europeo in materia di asilo (quindi l’accesso alle procedure), sia la legge, ritenuta illegittima poiché criminalizza le organizzazioni che prestano soccorso—, le violenze delle autorità ungheresi non sono mai terminate.

Migranti che hanno superato il confine tra Serbia e Ungheria. Ph: Picture-alliance/dpa/L.Witter via Info Migrants

Oltre all’Ungheria, anche la Croazia si è resa artefice di violenze di diverso genere nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo. Sempre secondo il rapporto La rotta balcanica, la polizia croata si è più volte servita dei propri cani per attaccare i richiedenti asilo, tra cui minori. In un episodio avvenuto nel 2019:

[…]sei persone di origine siriana, due dei quali minori provenienti dalla città di Idlib, si trovavano nel bosco nei pressi di Pogledalo, in Croazia. Impossibilitati a proseguire il cammino per le avverse condizioni atmosferiche contattavano la polizia croata, chiedendo aiuto. Sul posto giungevano tre agenti di polizia con un cane tipo belga Malinois, poi altri sette, otto agenti. Ignorando la richiesta di asilo dei cittadini siriani, gli agenti urlavano ed imprecavano contro di loro e li costringevano a stendersi a terra, dando ordine al cane di attaccarli. Di fronte alla disperazione di uno dei minori cui il cane aveva sbranato il polpaccio, gli agenti ridevano ed incitavano l’animale a continuare per poi esclamare soddisfatti “dobro, dobro” (bene, bene). Dopo aver ancora colpito gli uomini ed i minori stesi a terra, sequestravano i loro telefoni, i soldi e gli oggetti di valore, li caricavano su un furgone e li scaricavano al confine bosniaco, da dove provenivano.

Rifugiati e richiedenti asilo, adulti e minori, vengono sistematicamente respinti con violenza, senza alcuna possibilità di presentare domanda di asilo, come garantito dal diritto europeo. Tuttavia, non si tratta semplicemente di respingimenti illegali ma di vere e proprie torture che le autorità croate continuano a infliggere indisturbate. In un rapporto investigativo effettuato nel mese di giugno 2020, realizzato da Amnesty International, vi è il caso di 16 persone afghane e pakistane che sono state sottoposte a cinque ore di tortura. Dalle interviste condotte da Amnesty emerge che queste persone sono state soggette a ripetute percosse con bastoni di metallo, calci e umiliazioni — a una di queste persone la polizia croata ha provocato tre fratture (le braccia e una gamba).

Simili trattamenti sono riservati a rifugiati e richiedenti asilo che arrivano alle frontiere della Slovenia. Anche in questo caso non mancano rapporti e testimonianze sui respingimenti sistematici e violenti: secondo la sentenza emanata nel mese di luglio 2020 dalla corte amministrativa slovena sul caso di un richiedente asilo che voleva presentare la domanda per l’ottenimento della protezione internazionale, la polizia slovena ha preso parte a respingimenti illegali catena, collaborando con la Croazia, allontanando il richiedente fino in Bosnia ed Erzegovina. Di conseguenza, la Slovenia ha violato gli Articoli 18 e 19 della Carta dei diritti Fondamentali dell’UE.

Al confine con la Croazia. Rifugiati siriani e iracheni, 2016, Ph.:EPA/GEORGI LICOVSKI, via Euractiv

A questi respingimenti a catena ha partecipato, ed è tutt’oggi coinvolta, anche l’Italia, la quale è colpevole non solo dei respingimenti via mare—ricordiamo, ad esempio, il caso Hirsi Jamaa e altri v. Italia e la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo sulla violazione del principio di non-refoulement — ma anche di quelli via terra, a partire dalla regione Friuli-Venezia-Giulia. Nei primi otto mesi del 2020, più di 400 persone sono state “riammesse” informalmente in Slovenia senza alcuna possibilità di presentare richiesta di asilo, in violazione degli obblighi sanciti, di nuovo, dall’Articolo 18 della Carta dei diritti Fondamentali dell’UE. Queste riammissioni informali sono legittimati dagli accordi bilaterali siglati con la Slovenia il 3 settembre del 1996: si tratta di accordi che prevedono riammissioni sistematiche senza formalità—elemento totalmente in contrasto con gli obblighi previsti dalla Carta. Inoltre, come è stato spiegato dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI):

il Governo italiano non può […] limitarsi a rispondere che i due citati Paesi dell’Unione sono di per sé Paesi sicuri, ignorando o fingendo di ignorare che i migranti riammessi dall’Italia verso la Slovenia e poi dalla Slovenia verso la Croazia vengono successivamente trasferiti coattivamente in Serbia o in Bosnia-Erzegovina, senza che alcun provvedimento sia adottato e sia notificato agli stranieri coinvolti.

L’ultima novità sui respingimenti dall’Italia verso la Slovenia riguarda una sentenza cruciale emanata il 18 gennaio 2021 dal Tribunale di Roma che ha accolto il ricorso di un richiedente asilo pakistano riammesso nel luglio del 2020 dall’Italia alla Slovenia, da qui in Croazia e infine in Bosnia. Spiega l’ASGI:

con tale decisione il Tribunale ha sancito l’illegittimità della procedura di riammissione attuata al confine orientale italiano sulla base di un accordo siglato tra Italia e Slovenia nel 1996, mai ratificato dal Parlamento italiano.

Tale procedura, ha osservato il Tribunale, è condotta in palese violazione delle norme internazionali, europee e interne che regolano l’accesso alla procedura di asilo, è eseguita senza la consegna agli interessati di alcun provvedimento e senza alcun esame delle situazioni individuali, dunque con chiara lesione del diritto di difesa e del diritto alla presentazione di un ricorso effettivo.

I respingimenti sono dunque illegali, tuttavia, nonostante i numerosi rapporti sulle violenze nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo alle frontiere dell’UE, La Commissione Europea continua a rimanere indifferente e non si attiva concretamente per far sì che il diritto di asilo venga seriamente implementato. Infatti, l’indagine in corso sulle violazioni di Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, per i respingimenti via terra e via mare ai danni dei richiedenti asilo, è uno dei tanti esempi che riguardano una gestione dell’immigrazione improntata soprattutto su respingimenti illegali, sugli accordi bilaterali tra gli Stati Membri e paesi terzi di dubbia legittimità, sul controllo e spesso sulla violenza, rispetto all’importanza della tutela dei diritti fondamentali — tra cui vi è anche il diritto a migrare.

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Oiza Q. Obasuyi

1995 | MA International Relations Unimc| Freelance writer -The vision, Internazionale, Melting pot Europa | Contributor& Jr Researcher CILD - Open Migration