Migration Bulletin #8: Caso Open Arms. Salvini a processo per sequestro di persona. Migranti lasciati a morire dalle autorità libiche e italiane. Naufragio al largo della Tunisia.

Oiza Q. Obasuyi
6 min readApr 18, 2021

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A Libyan coastguard stands on a boat during the rescue of 147 illegal immigrants attempting to reach Europe off the coastal town of Zawiyah, 45 km west of the capital Tripoli, on June 27, 2017. (TRT World and Agencies), via TRT World

Caso Open Arms. Salvini a processo per sequestro di persona

L’ex ministro dell’interno Matteo Salvini sarà processato il 15 settembre alla sezione del Tribunale di Palermo per il sequestro di 147 migranti. Si tratta di un episodio avvenuto nell’agosto del 2019 quando Matteo Salvini ha impedito alla nave Ong Open Arms, bloccata per diversi giorni al largo di Lampedusa, di completare l’operazione di soccorso. Il rinvio a giudizio è stato chiesto dal procuratore capo Francesco Lo Voi, e dai rappresentanti di numerose associazioni tra cui Open Arms ed Emergency. Inoltre si sono costituiti parte civile anche nove migranti bloccati a bordo.

Ricordiamo che in base all’articolo 1 del Decreto Sicurezza Bis* (Decreto Legge 53/2019), Matteo Salvini aveva stabilito che:

Il ministro dell’interno può limitare o vietare l’ingresso il transito o la sosta di navi nel mare territoriale per motivi di ordine e sicurezza pubblica.

Tra queste ragioni rientra anche il “favoreggiamento all’immigrazione illegale”, tuttavia è evidente che questa disposizione non ha fatto altro che criminalizzare le operazioni di soccorso messe in atto dalle Ong, impedendo loro di completarle. Inoltre soccorrere le persone in mare e completare tali operazioni facendo sbarcare le persone in un porto sicuro rientra tra gli obblighi del diritto internazionale marittimo.

Nonostante la sentenza del Tar (tribunale amministrativo) del Lazio che il 14 agosto 2019 aveva sospeso — parlando di un caso di “eccezionale gravità e urgenza” — le disposizioni del Decreto Sicurezza Bis, a seguito del ricorso presentato dalla Open Arms contro quest’ultimo, Matteo Salvini firmò un nuovo decreto per impedire lo sbarco.

L’Ohchr (Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite) ha sottolineato come una legge nazionale simile sia in contrasto con le convenzioni internazionali, che assumono una rilevanza maggiore specie se si tratta di uno Stato che ha firmato diverse convenzioni per la tutela dei diritti umani, tra cui anche le Convenzioni Sar e Solas, rispettivamente Search and Rescue (Ricerca e Soccorso) e Convention for the Safety of Life at Sea (Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare), che prevedono il soccorso in mare e lo sbarco in un porto sicuro (Place Of Safety). Inoltre, l’Articolo 19 della United Nations Convention on the Law of the Sea (Unclos, Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare), in cui si approfondisce il significato di innocent passage, sancisce che il passaggio di una nave è da considerarsi un passaggio offensivo qualora venga utilizzata la forza contro la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica dello Stato.

Di certo non sono queste le intenzioni delle navi come la Open Arms che si occupano di soccorrere persone alla deriva.

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*Si consiglia la lettura di “Analisi critica del c.d. “Decreto sicurezza bis” relativamente alle disposizioni inerenti il diritto dell’immigrazione” pubblicato il 13 settembre 2019 dall’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione).

via Il Post

Migranti lasciati a morire dalle autorità libiche e italiane

I documenti che sono stati pubblicati grazie a un’inchiesta effettuata dalle testate giornalistiche Domani, The Guardian e da Rai News, dimostrano che la così chiamata Guardia Costiera Libica spesso non interviene per soccorrere le persone che si trovano in difficoltà, provocando quindi naufragi e morti nel Mediterraneo. I fatti analizzati nell’inchiesta risalgono al 2017: in uno di questi, il 16 giugno 2017, un ufficiale della Guardia Costiera Libica, Massoud Abdalsamad riceve una chiamata dalla Guardia Costiera Italiana in cui vengono segnalate 10 imbarcazioni con persone alla deriva nelle acque territoriali libiche. Abdalsamad risponde dicendo:

Oggi è giorno libero. Qui è giorno di festa.[…] Forse domani.

Nel medesimo giorno, mentre Abdalsamad dichiara che i suoi uomini hanno salvato molti migranti, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) conferma la presenza di 126 morti. I documenti dell’analisi Domani, The Guardian e Rai News, provengono dall’inchiesta che la procura di Trapani aveva avviato sulle Ong e il loro presunto favoreggiamento all’immigrazione illegale*, intercettando anche diversi giornalisti e giornaliste, tra cui Nancy Porsia il cui cellulare è stato controllato per più di sei mesi pur non essendo indagata, che si occupano di migrazioni. Dai documenti risulta che le autorità italiane sapevano che le aurorità libiche non avevano né l’intenzione né le capacità di occuparsi delle attività di ricerca e soccorso delle persone in mare. Tra il 22 e il 27 marzo 2017, centinaia di persone partite da Sabratha, in Libia, hanno chiesto aiuto alle autorità italiane che a loro volta contattavano quelle libiche, senza ricevere risposta. Francesco Creazzo, responsabile della Ong SOS Méditerranée, ha dichiarato che le autorità libiche non rispondono alle richieste di aiuto, a prescindere dal giorno della settimana.

L’Italia è quindi complice di questi naufragi in virtù del Memorandum d’Intesa siglato tra Italia e Libia nel 2017, che vede le autorità Libiche come partner nelle attività di ricerca e soccorso, pur essendo a conoscenza del fatto che le autorità libiche quando, e se, recuperano le persone in mare, le riportano nei centri di detenzione — dove avvengono continui abusi, uccisioni e maltrattamenti.

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*[…]Quanto al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina o a eventuali altri reati va rilevato che, secondo dati originali raccolti da ISPI, dei 18 filoni d’inchiesta aperti nei confronti delle Ong tra aprile 2017 ed oggi cinque sono stati archiviati, mentre dei 13 rimanenti nessuno è ancora giunto in tribunale (quelli attivi sono dunque tutti ancora fermi alle indagini preliminari).

Per quanto riguarda invece il vero e proprio “pull factor”, ovvero la possibilità che la mera presenza delle navi Ong possa far aumentare le partenze, dal 1° gennaio 2019 ISPI — grazie alla collaborazione di UNHCR e IOM — raccoglie dati sul numero di migranti che lascia giornalmente la costa libica, sulle condizioni atmosferiche in mare, e sulla presenza di navi delle Ong al largo della Libia.

In questo modo è possibile constatare che, tra il 1° gennaio 2019 e il 14 luglio 2020 (un arco di 559 giorni, equivalente a più di un anno e mezzo), il numero di migranti partiti dalla Libia quando c’erano navi Ong al largo è praticamente indistinguibile dal numero di chi lo ha fatto senza alcun alcun assetto navale pronto a soccorrerli. — Matteo Villa per ISPI (Istituto Per gli Studi di Politica Internazionale).

Detenuto nel centro di detenzione di Ain Zara (Tripoli, Libia), 2018, via Human Rights Watch

Naufragio al largo della Tunisia

Un’imbarcazione di migranti è naufragata al largo della Tunisia. 41 persone, tra cui un bambino, hanno perso la vita.

Lo rende noto la radio locale Mosaique Fm, precisando che unità della Guardia costiera tunisina, in coordinamento con due pescherecci nella zona di mare interessata, sono riusciti a soccorrere tre migranti (un uomo e due donne della Costa d’Avorio e Guinea) — Rai News.

Ricordiamo che le stesse politiche di esternalizzazione delle frontiere applicate alla Libia, vengono applicate anche alla Tunisia: esiste un Memorandum Italia-Tunisia che presenta non poche problematiche. Tra queste, come è stato sottolineato dall’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) vi sono:

1) La considerazione della Tunisia quale paese sicuro per i migranti che lo attraversano. Tuttavia, sono note le prassi di detenzione arbitraria, le condizioni inadeguate di accoglienza, l’assenza di forme di protezione effettiva. Condizioni che hanno condotto, solo poche settimane fa, alla morte di un bambino di tre anni nel centro per migranti di Médenine.

2) La considerazione dei migranti tunisini quali migranti irregolari da rimpatriare. Preoccupa l’affermazione del Ministro degli esteri nei riguardi degli arrivi in Italia di cittadini tunisini secondo cui “l’unico esito di un arrivo irregolare è un rimpatrio”: secondo le norme sull’asilo e la disciplina dei respingimenti e delle espulsioni non è possibile alcun rimpatrio senza che sia data al cittadino straniero la possibilità di richiedere protezione internazionale e prima che sia eseguita un’attenta valutazione della situazione individuale per accertare che non vi siano cause di inespellibilità.

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Oiza Q. Obasuyi

1995 | MA International Relations Unimc| Freelance writer -The vision, Internazionale, Melting pot Europa | Contributor& Jr Researcher CILD - Open Migration